In Patagonia, nella penisola di Valdés, tra leoni ed elefanti marini, orche, balene, pinguini e fantasmi.
La baracca dei ricercatori è un giocattolo sospeso nell’infinito della steppa patagonica, nel niente, un niente di più di seicentocinquantamila chilometri quadrati tutti uguali, fatti di terra grigia e arbusti bassi e legnosi prima delle grandi dune di sabbia chiara che chiudono verso il mare questo catino immenso pieno di una realtà che ha il sapore di un’illusione.
La baracca dei ricercatori, che mai ho saputo chi abbia costruito e quando, porta accanto due pali infissi nel terreno tra i quali è inchiodata una tavola con una scritta incisa nel legno: Macondo.
“E così la baracca dei ricercatori si chiama Macondo, che strano!” pensai la prima volta che mi trovai laggiù.
Dietro una porta semplicemente accostata vidi un pagliericcio per dormire e una sorta di cucina rudimentale con un camino dove accendere il fuoco.
Nella baracca dei ricercatori va a rifugiarsi chi vuole studiare vita e misteri del sud del mondo in tutta tranquillità, da protagonista, o chi vuole restare davvero solo con se stesso. Quella minuscola casa è l’unico timido segno dell’esistenza dell’uomo in quell’angolo della Penisola di Valdés, che sulla carta geografica sporge solo di un’unghia sull’Oceano Atlantico.
La baracca dei ricercatori si chiama Macondo, lo porta scritto sulla trave, e galleggia in una realtà che ha il sapore di una pagina di Garcia Marquez e di cui è addirittura difficile garantire l’esistenza.